Che cosa abbiamo visto la scorsa settimana
Negli Usa, la robusta accelerazione degli indicatori di tendenza del Conference Board della Fed (effettivo a +1,0% vs. +0,7% atteso e +0,6% precedente) e il permanere delle nuove richieste settimanali di sussidi di disoccupazione su livelli storicamente molto bassi (effettivo a 222.000 unità contro le 229.000 della settimana precedente) contribuiscono a mantenere basse, nel breve periodo, le probabilità che l’economia possa scivolare in recessione.
Per l’Eurozona, le indagini campionarie di febbraio hanno mostrato qualche segnale di perdita di momentum, sebbene l’attività economica si sia mantenuta su livelli piuttosto sostenuti: l’indice di aspettativa tedesco ZEW, seppur in calo, si è mantenuto in buona intonazione e oltre le attese degli analisti (effettivo a 17,8 vs. 16,0 previsto e 20,4 precedente) e anche per l’area europea nel suo complesso si è registrato un fisiologico rallentamento (effettivo a 29,3 vs. 31,8precedente); dello stesso tenore, gli indicatori anticipatori Markit PMI (composito: 57,5 effettivo da 58,8 precedente) ed i dati IFO tedeschi, sia per la componente di attività economica corrente che per quella relativa alle aspettative di crescita.
A livello, invece, di risultati societari, dagli annunci delle trimestrali statunitensi, ormai quasi al termine, l’agenzia Bloomberg evidenzia che sulle 454 società dello S&P 500 che hanno riportato, ben il 78% ha battuto le previsioni sul fronte degli utili.
Il contesto macroeconomico globale, caratterizzato da una congiuntura mondiale ancora sostenuta, e le conferme sul fronte delle trimestrali societarie statunitensi hanno, così, consentito un ulteriore riassorbimento della volatilità implicita sui principali indici azionari a livello globale (Vix corrente su S&P500 in area 15-16 per cento) e un conseguente recupero dei corsi azionari: negli Stati Uniti, all’apertura di lunedì 26, quasi metà delle pesanti perdite subite nel corso dell’improvvisa violenta correzione di inizio febbraio sono state così riassorbite.
Buono anche il recupero del listino azionario giapponese e di quelli cosiddetti “emergenti”; positive, ma meno brillanti di quelle statunitensi, le performances delle principali borse europee (Italia inclusa), probabilmente anche a causa delle questioni politiche tedesche e italiane: il via libera dei Cristiano-Democratici della Cdu al IV Governo di “larga coalizione” presieduto dalla Cancelliera Angela Merkel è arrivato a stragrande maggioranza nel pomeriggio di lunedì 26, mentre è atteso per domenica 4/3, data in cui si terranno anche le importanti elezioni politiche italiane, l’esito del referendum di approvazione tra gli oltre 463.000 iscritti al Partito Socialista della Spd.
Il calo della volatilità implicita sui principali indici azionari internazionali è stato anche favorito dalla, probabilmente temporanea, fase di calma sui tassi d’interesse delle obbligazioni governative a livello globale: infatti, dopo avere toccato il nuovo massimo degli ultimi 4 anni al 2,95%, il rendimento del Treasury decennale statunitense si è leggermente ridimensionato in area 2,85-2,88%, mentre quello del bund tedesco, complice anche il citato lieve rallentamento degli indicatori di tendenza economica in Eurozona, è rimasto pressoché stabile in area 0,65%; in salita, invece, il rendimento del nostro Btp decennale arrivato a quota 2,20%, con lo spread verso l’omologo tedesco che è, così, andato ad allargarsi fino a poco più 150 punti base, per poi ridiscendere a 140-145, in corrispondenza di un rendimento intorno al 2,10%: pesa, senza dubbio, l’incertezza sui possibili scenari nel caso in cui non emergano dalle prossime elezioni politiche del 4/3 reali vincitori in grado di costruire una coalizione di governo affidabile e duratura.
Sui mercati valutari, il cambio dell’euro verso il dollaro statunitense ha continuato ad oscillare intorno 1,23, mentre ha perso qualcosa contro il franco svizzero (in area 1,15) e, soprattutto, la sterlina inglese (tornata sotto 0,88), quest’ultima rafforzatasi per la previsione di imminenti inasprimenti dei tassi ufficiali d’interesse da parte della Bank of England.
Che cosa guardiamo questa settimana
Dagli Stati Uniti, sono attesi i dati sugli ordini dei beni durevoli di febbraio, la seconda revisione del dato di PIL del IV trimestre 2017 e l’indicatore anticipatore ISM del comparto manifatturiero (atteso in leggero rallentamento, ma ancora in territorio ampiamente espansivo).
Sempre negli Usa, particolarmente attesa la prima uscita ufficiale (alla Commissione Finanze ed Economia) del neopresidente della banca centrale statunitense, la Fed, Jerome Hayden Powell, per un aggiornamento sulle prospettive economiche statunitensi e conseguenti future politiche monetarie: una delle domande che si stanno ponendo da diversi giorni gli operatori è se gli aumenti programmati dei tassi di riferimento nell’arco del 2018 saranno tre oppure quattro, ognuno da 25 punti base (la prossima riunione Fed si terrà il 20-21 marzo).
In Gran Bretagna, da seguire anche la presentazione di Theresa May del piano di accordo con l’Unione Europea sulla Brexit.
Sul fronte delle trimestrali societarie, riporteranno Vale, Bayer, Peugeot, Basf e Bershire Hathaway.
Strategia di Portafoglio
Riteniamo che i solidi fondamentali in tutte le principali aree geografiche possono continuare a supportare la crescita globale.
Sui mercati azionari, preferiamo rimanere “neutrali”, in quanto non possiamo escludere per le prossime settimane ulteriori episodi di volatilità; al fine di ripresa più duratura e affidabile dei principali indici azionari, da un punto di vista di analisi tecnica, occorrerebbe un nuovo test in prossimità dei minimi visti a inizio febbraio.
Sui mercati obbligazionari, considerato che i tassi d’interesse, ormai entrati in fase di normalizzazione, tenderanno ad aumentare, suggeriamo in generale scadenze molto brevi; la velocità dei rialzi dei rendimenti, di fatto, influenzerà anche il livello della volatilità sui mercati azionari, oltre che, naturalmente su quelli obbligazionari.
Sui mercati valutari, rimaniamo in generale prudenti e attendisti, a causa dell’aumentata complessità delle variabili, soprattutto, in ambito politico e geo-politico.