Genova “riscopre” l’America proprio nel giorno del 524esimo anniversario della scoperta del Nuovo Mondo. Ma il nuovo mondo nel 2016 si chiama Singapore, l’isola di 5,5 milioni di abitanti al centro della macroarea asiatica, a tre ore di volo dall’Indonesia, 4 ore dalla Cina e poco più di 5 dall’Australia. Ma soprattutto, la nazione che sta vincendo il duello con l’eterna rivale Hong Kong per aggiudicarsi il titolo di hub mondiale dello shipping, «con ben mille navi che ogni giorno entrano ed escono dal porto: Singapore può diventare la consorella di Londra», afferma Carlo Bindella di Deloitte.
E Genova, in un momento in cui tutti gli occhi sono puntati sulla Cina e proprio su Hong Kong, dimostra di guardare oltre e di scommettere invece sulle grandi potenzialità di Singapore per varcare le porte del Sud Est asiatico (e non solo).
Investimenti, incentivi e shipping nel Paese asiatico sono stati al centro del convegno organizzato oggi da Deloitte e Assagenti nella sala del Capitano di Palazzo San Giorgio a Genova. Una mattinata per capire quanto Singapore possa rappresentare una nuova potenzialità di business per le imprese italiane, ma soprattutto liguri e genovesi in questo caso. A snocciolare le principali opportunità commerciali ci pensa Giacomo Marabiso, segretario generale della Camera di commercio italiana a Singapore, attiva dal 2003, con 180 soci iscritti: «Prima di tutto, il settore delle costruzioni. E non solo per nuove opportunità in loco, ma anche per presentarsi a tutte le principali aziende asiatiche del comparto, che hanno i propri headquarter a Singapore. Altro settore di grande attenzione è quello marittimo, il cui turnover è in crescita dell’1,3% e che offre grandi opportunità anche alle piccole e medie imprese». In forte sviluppo in tutto il Paese anche il settore biomedicale e farmaceutico, dovuto principalmente a «un progressivo invecchiamento della popolazione, ma anche al fatto che il governo sta cercando di puntare molto sulla ricerca e sviluppo e sulla difesa della proprietà intellettuale», commenta Marabiso. Circa 50 ricercatori italiani sono attualmente impiegati in progetti finanziati dal governo locale. Inoltre, Singapore rappresenta la via principale per raggiungere Paesi come Indonesia e Myanmar, che stanno crescendo in termini di import di prodotti di questo settore.
Infine, il turismo: «Un turismo improntato soprattutto sullo shopping, visto che a Singapore si trovano tutti i grandi marchi che mancano invece nei Paesi asiatici limitrofi. E per l’Italia questa è una grossa opportunità, non tanto per il fashion, che vede orientarsi soprattutto sull’e-commerce, quanto per il food e il beverage». E su questo Genova e la Liguria possono giocare una partita importante.
Dunque, ottime opportunità di mercato e di investimenti produttivi, favoriti da un ordinamento semplice, un sistema legale accessibile, una fiscalità competitiva e semplificata, molti sgravi fiscali.
Tre le principali forme imprenditoriali per investire a Singapore: «Lo strumento più leggero è rappresentato dall’ufficio di rappresentanza – spiega Dario Acconci, socio dello studio P&P Ltd – ma è anche il più limitato, sia a livello temporale, perché ha una durata di soli 3 anni, sia a livello operativo: serve essenzialmente a capire se c’è possibilità di business sulla piazza, presentando i propri prodotti e facendo ricerche di mercato». Una sorta di negozio con tante vetrine ma senza porta d’ingresso. «Il metodo più comune è invece la private limited company – ricorda Acconci – che si può costituire in pochi giorni, senza la figura del notaio e senza complesse necessità logistiche. Può avere il 100% del capitale estero, l’unica richiesta da parte del governo è la presenza di un amministratore residente in loco». La terza possibilità è costituita dalla branch, un vero e proprio ramo della casa madre, limitata però dalla questione della responsabilità (che non si ferma sul suolo di Singapore). Si tratta di una forma utilizzata principalmente dagli istituti bancari.
Tra le tante opportunità offerte da Singapore, ci sono anche alcuni aspetti “critici” da non trascurare. In primis, un progressivo innalzamento delle cosiddette “barriere all’ingresso” che ha caratterizzato la politica del governo degli ultimi anni. «Un evento comunque ciclico – precisa Marta Giordano, socia di P&P – non si esclude quindi un’inversione di tendenza nei prossimi anni». A ciò si aggiunge l’alto costo della vita e del lavoro. «Ma la presenza di business è centrale e più importante anche dei vantaggi di tipo fiscale», commenta Gian Enzo Duci, presidente Federagenti. Aggiunge Ivan Pitto, presidente di Liguria International: «Quello che succede a Singapore è un po’ quello che è successo nella Silicon Valley: per lavorare lì i costi sono molto alti, ma lo si fa perché proprio lì risiede il vero business». «Non dobbiamo dimenticare inoltre – ricorda Duci – che in termini di flusso di investimenti tra Genova e Singapore, il vantaggio è dalla nostra parte: così come Singapore ha guardato alle nostre aziende, allo stesso modo anche le nostre imprese devono guardare dove stanno andando le diverse forme di mercato».
Singapore resta un buon punto di arrivo per le società, facilitate da un sistema fiscale competitivo e improntato sulla semplicità (basti pensare che l’equivalente della nostra Iva corrisponde a un’imposta del 7%). I dazi all’ingresso riguardano solo quattro tipologie di prodotto: tabacchi, alcool, derivati petroliferi, auto. Ha siglato 20 accordi di libero scambio con 31 Paesi nel mondo e 75 tax treaties, tra cui spicca quello con la Cina. Molte anche le agevolazioni relative allo shipping, applicabili a navi battenti bandiera locale o straniera, attività di noleggio e leasing e società multi-industry.