Le imprese coesive, cioè quelle che intrattengono relazioni strutturate con altre imprese, comunità, istituzioni, consumatori, terzo settore, e quindi caratterizzate da un elevato grado di networking, hanno una performance economica migliore. A dirlo è l’ultima indagine realizzata da Ipsos per Fondazione Symbola e Unioncamere, “Coesione è competizione – Le nuove geografie della produzione del valore in Italia”, secondo la quale le imprese coesive hanno registrato nel periodo 2017-2018 aumenti del fatturato nel 53% dei casi, mentre fra le “non coesive” le quota si ferma al 36%.
Queste imprese dimostrano una migliore dinamicità anche sul fronte dell’occupazione: il 50% delle coesive ha dichiarato assunzioni in questo periodo, contro il 28% delle altre. Un differenziale di ben 22 punti percentuali, particolarmente accentuato nelle piccole imprese. La stessa situazione avviene per le esportazioni: le realtà coesive hanno aumentato l’export nel 45% dei casi, a fronte del 38% delle non coesive, oltre a essere quelle che hanno nel dna una considerazione maggiore di valori come l’ambiente (il 38% delle imprese coesive contro il 21% delle non coesive nel triennio 2015-2017), la creazione di occupazione e di benessere economico e sociale, gli investimenti in qualità (l’82% delle imprese coesive ha fatto social investment contro il 65% delle altre).
Tutte queste realtà danno corpo e sostanza a quell’Italia che, sfidando tutti i pronostici, è protagonista europea nell’economia circolare, nella green economy e nella riduzione delle emissioni clima-alteranti, con primati nel surplus manifatturiero (seconda in Europa solo alla Germania).
E la Liguria come si colloca in questo contesto? Sono ancora poche le imprese coesive nella nostra regione, secondo l’indagine si fermano al 28,3% del totale (sestultimo posto in Italia, media nazionale 32,4%). In testa Friuli Venezia Giulia e Trentino alto Adige (37,4%), seguite da Veneto (36,8%), Sardegna (34,7%), Emilia Romagna (34,3%), Piemonte (33,6%).
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