Secondo i dati del Comune di Genova, gli over 65 residenti nel capoluogo ligure sono oltre 156 mila (62.929 maschi e 93.582 donne), il 25,9% della popolazione (per dare un’idea del trend, gli abitanti con meno di 17 anni rappresentano il 14%); 33.824 persone di oltre 75 anni vivono sole. Di questi, 6.689 anziani sono seguiti dai servizi sociali (1.243 di questi con programmi di assistenza domiciliare). E gli altri? Si arrangiano e, appena possono, si danno una mano tra di loro o danno una mano alle proprie famiglie. La situazione genovese è una sorta di laboratorio: «Genova, con i suoi 156.511 over 65, un indice di vecchiaia pari a 235,9, è la città più anziana d’Europa e si trova sotto la lente d’ingrandimento dell’Europa perché anticipa un trend atteso per il 2030», dice Emanuela Fracassi da poco diventata assessore comunale alle Politiche socio-sanitarie. Ma la situazione è comune a tutta la regione: in Liguria le persone con più di 60 anni sono oltre 550 mila, vale a dire il 34% della popolazione (ci sono anche 623 ultracentenari); gli ultrasessantacinquenni sono il 27%.
Una ricerca nazionale, ma con specifico focus su Genova, realizzata dall’Ires, Istituto ricerche economiche e sociali Cgil, in collaborazione con lo Spi Cgil nazionale, presentata nel convegno “Fra autonomia e benessere: gli anziani e la cura leggera”, offre una serie di risposte. La più clamorosa è che il valore equivalente delle attività di cura e aiuto gratuite svolte da persone over 54 supera i 18 miliardi di euro annui e che, in particolare porta al rafforzamento dei legami sociali e all’occupabilità delle donne con figli (perché sono i nonni che se ne curano). In sostanza, invece di chiedere aiuto in una società che “lima” sempre di più il welfare, sono gli anziani che si offrono per dare una mano agli altri. A chi? La ricerca mostra che questa relazione di aiuto è indirizzata soprattutto all’ambito familiare (63%), con una consistente percentuale del 37% che si presta a favore di amici, vicini o degli “altri” in generale. Una scoperta che, come precisa Paola Francesca Repetto, segretario responsabile cittadinanza attiva Spi Cgil Liguria, «smentisce lo stereotipo negativo dell’anziano solo e impaurito, chiuso in casa per difendersi da un territorio pericoloso, ostile e incomprensibile». Che cosa fanno gli anziani autosufficienti per i propri familiari o per gli altri? La ricerca dell’Ires risponde che l’attività di aiuto più frequentemente prestata è la compagnia (63%), seguita dalla spesa alimentare e dalle pratiche burocratiche (45%), dalla spesa farmaceutica (36%) e dai trasporti brevi (33%). Cioè, anziché chiedere agli enti pubblici di essere aiutati, aiutano gli altri nelle incombenze quotidiane.
LA FATICA DI VIVERE
D’altro canto, la ricerca analizza che per moltissimi degli altri 156 mila “anziani” genovesi parecchie attività sono diventate gravose (anche per motivi economici). Quali? La pulizia e la manutenzione della propria abitazione (50%), il disbrigo delle pratiche burocratiche (38,5%), la spesa alimentare (35%) e quella farmaceutica (34%). Non solo: quella che Repetto, senza ironia, definisce “fatica di vivere” degli anziani emerge anche «dalle difficoltà incontrate negli spostamenti brevi, per visite mediche o altre faccende quotidiane, resi difficili dalla particolare struttura di Genova, dalla complessa viabilità e dall’isolamento di alcuni quartieri di recente urbanizzazione».
Sia le richieste rivolte verso la società, sia le offerte di collaborazione nei confronti degli altri vengono definite “cure leggere”. D’altro canto, la ricerca Ires precisa che questo “contributo di cura e aiuto gratuito può essere adeguatamente sostenuto e promosso, se posto in dialogo con la rete degli interventi sociali, se inserito tra le pratiche del mondo associativo e solidaristico, e – soprattutto – se tale attività viene in qualche modo riconosciuta e valorizzata dalle istituzioni e dalle società locali”.
Una situazione che corre in parallelo con il problema dei 4 milioni di persone che, in Italia presentano limitazioni funzionali gravi o leggere dovute all’avanzare con l’età: di queste, il 62% sono donne, e l’80,1% ha 60 anni o più. Per dire che le persone anziane rappresentano circa i quattro quinti di tutte le persone con limitazioni funzionali. Di loro chi si occupa? Nel 49,7% dei casi i familiari, nel 10,7% personale a pagamento, nell’8,1% dei casi altre persone, anche non familiari. Oltre il 17% non riceve alcun aiuto. L’intervento di personale dell’assistenza sociale è limitato a un impercettibile 0,5%. In Liguria la legge del 2006 “Promozione del sistema integrato di servizi sociali e sociosanitari”, ha istituito il Fondo regionale per la non autosufficienza che finanzia prioritariamente prestazioni sanitarie e sociosanitarie come assistenza territoriale domiciliare, assistenza residenziale e semiresidenziale di mantenimento. La legge prevede un sostegno alle famiglie per facilitare il mantenimento a domicilio delle persone non autosufficienti.
FRAGILITÀ, GESTIONE DIFFICILE
La legge ignora, invece il tema della cura leggera, per la sempre più vasta fascia di popolazione che è autosufficiente ma colpita da quella che la ricerca Ires definisce “progressiva fragilizzazione” degli anziani. Questa attività è lasciata alle famiglie ed eventualmente alle organizzazioni solidaristiche e alla cooperazione sociale. A Genova non è riuscita a raggiungere i dieci anni di vita, a causa della mancanza di risorse (ma anche per i conflitti di attribuzione con strutture pubbliche), l’Agenzia per la domiciliarità del Comune di Genova, che intendeva mettere insieme volontariato, associazionismo e cooperazione sociale e realizzare progetti di vario tipo (dagli interventi ludico-ricreativi fino all’assistenza domiciliare leggera o intensa).
Attualmente un progetto interessante riguarda la “continuità assistenziale” – che sarebbe garantita dalla cooperazione e dall’associazionismo – per i pazienti anziani in uscita dall’ospedale. L’assessore comunale uscente, Paola Dameri aveva avviato un progetto innovativo: «Il Comune di Genova, sta adottando, grazie a fondi nazionali e di concerto con la Asl, le “dimissioni protette”. L’anziano, dopo cure intensive ospedaliere e non ancora completamente guarito, può avvalersi di cure domiciliari: il ruolo dell’ente pubblico è di valutazione e di una risposta adeguata ai bisogni dell’anziano, con un’assistenza di 3-5 ore al giorno, tramite lo scouting per ciò che è più adatto. Per il primo mese queste sono gratuite. Dopo hanno un costo. L’aspetto positivo è che si tratta di persone formate dal Comune di Genova, in genere straniere con la conoscenza della lingua italiana, che, attraverso una cooperativa forniscono l’assistenza. Ciò permette di evitare il lavoro nero e, aspetto molto importante, le persone di cui ci si avvale sono fidate».
Angelo Sottanis, direttore regionale, Auser associazione per l’autogestione dei servizi e la solidarietà, precisa: «Da sei anni in Liguria lavoriamo sul “Progetto età libera invecchiamento attivo”, programma pluriennale di azioni che ruotano intorno al tema della vecchiaia, promosso dalla Fondazione Carige e dalla Regione Liguria L’idea è un “welfare leggero e di comunità” che consente di usare meglio le risorse economiche e fornire servizi più efficienti a una popolazione che ha un indice di invecchiamento così elevato. Il volontariato ha la capacità di dare risposte solidali confermando che si può costruire un sistema di welfare nuovo, che consideri il benessere come obiettivo dell’intera comunità, non soltanto di parti specializzate di essa».