Cambiare nome varietale della gloriosa oliva taggiasca, iscriverla come “giuggiolina” e tutelarla – di nuovo come taggiasca – in una Dop tutta riservata alle olive in salamoia: nell’imperiese, la guerra della cultivar è appena cominciata.
Una polemica che è diretta conseguenza di un successo gastronomico, amplificato dalla pubblicità e perfino dal cinema. Tant’è, sugli scaffali sono sempre più numerose le imitazioni: taggiasche in salamoia prodotte e confezionate nel Sud Italia, a prezzi concorrenziali. Così il Consorzio Olio Dop Riviera Ligure, le categorie dell’agricoltura e la stessa Confindustria hanno alzato gli scudi, dando il via libera a una strategia che però non piace a tutti.
Per opporsi al cambio di nome (e alla costituzione di una nuova Dop) è nato perfino un comitato di produttori, confezionatori e frantoiani pronti a battersi per il mantenimento della famosa cultivar, col suo nome originale. Complica però il tutto l’assenza di disciplina, a livello locale, sulle olive in salamoia, o da mensa. Cosa sono le olive “Riviera”, così simili alle taggiasche ma un po’ più scure, vendute a cinque o sei euro al chilo nei mercati e supermarket? Mistero. La soluzione è una sola, secondo le categorie: cambiare il nome della varietà nei registri ministeriali e perfezionare la tutela in etichetta.
Andiamo con ordine. «In data 25 febbraio 2016 si è tenuta ad Imperia l’assemblea annuale del Consorzio di tutela dell’olio extra vergine Dop Riviera Ligure» – scrive l’ente di tutela in una nota. Si discute di ordinaria amministrazione, ma chi ha pazienza di leggere fino in fondo trova l’oggetto del contendere: «I tredici consiglieri di amministrazione hanno sottoscritto e presentato all’assemblea un importante programma di lavoro che mira a tutelare la produzione locale di olive che ha tre diverse destinazioni: oliva taggiasca in salamoia, olio Dop Riviera Ligure e olio monocultivar taggiasca. Dobbiamo ora affrontare uniti – aziende, associazioni, enti territoriali – la sfida che si è aperta con la commercializzazione di olive taggiasche in salamoia provenienti da altre regioni e chiedere con forza la tutela del nome “Taggiasca” che appartiene al nostro territorio. La registrazione della denominazione di origine “Taggiasca in salamoia” e un monitoraggio della produzione locale di olive da olio permetterà al Dop Riviera Ligure di svilupparsi e agli altri due prodotti di eliminare sul nascere la concorrenza delle olive taggiasche in salamoia / olio monocultivar taggiasca di altre regioni».
L’idea di tutelare l’oliva taggiasca in salamoia con una Dop non è una novità, e ne dà conto la Cia (Confederazione italiana agricoltori) in uno scambio di note con il ministero risalente al 2008, che ha respinto un’istanza perché contrastante con questa prescrizione: «Un nome non può essere registrato come denominazione di origine o indicazione geografica qualora sia in conflitto con il nome di una varietà vegetale o razza animale e possa, pertanto, indurre in errore quanto alla vera origine del prodotto».
Di qui si è fatta strada l’ipotesi di cancellare la cultivar taggiasca dal registro e sostituirla con un nome più anonimo come “giuggiolina”. Lo ha già fatto il terroir del Prosecco, ribattezzando il vitigno col nome, sconosciuto ai più, di “grela”.
La questione della taggiasca investe la politica olivicola, tra fautori della Dop e chi ha paura di rimanere tagliato fuori, costretto ad adeguarsi a norme e prescrizioni di disciplinari che non fanno tutti contenti. «Per cambiare il nome del vitigno, dalle parti del Prosecco, ne han parlato dodici anni. Qui invece si pensa a cancellare il nome di una cultivar senza nemmeno sapere che disciplinare andremo a presentare all’Ue» – tuona Gigi Benza, del “Comitato promotore per la promozione, la tutela e la valorizzazione della cultivar taggiasca nel ponente ligure”. Un nome lungo come la battaglia che, nell’imperiese, è appena cominciata.