“Dieci” di Andrej Longo (Sellerio, 2025) è composto da dieci racconti, ciascuno dei quali ha come titolo un comandamento biblico e tutti insieme formano un romanzo che ha come protagonista principale Napoli. Senza stereotipi. I rimandi alla tradizione riguardano quasi soltanto la cucina: il vino di Gragnano, le polpette, i rigatoni con la salsiccia e la ricotta, le melanzane sottolio, la frittata di maccheroni, cose che fanno parte della vita quotidiana dei personaggi. Non ci sono il Vesuvio, Posillipo, Marechiaro, la fenestella, ecc… Ci sono i ragazzi sui motorini che fanno i buffoni per farsi vedere girando intorno alle carogne dei cani da combattimento e alle montagne di spazzatura, i tossici, le montagne di monnezza per strada, i morti ammazzati, gli scippi. È la periferia napoletana dei derelitti, di vittime e delinquenti, e di delinquenti che opprimono delinquenti più deboli di loro. Una malavita inchiodata al suo destino.
Longo fa parlare i personaggi con le loro parole, in napoletano, napoletano italianizzato o italiano napoletanizzato. La lingua della strada.
La prosa straordinariamente espressiva di un altro libro di Longo recensito in questa rubrica, la “Forma dei sogni” , qui conserva la stessa vivacità, ma rinuncia allo humour e alla levità, mostrandoci una realtà brutale, feroce, soffocante. Vista con gli occhi di chi la vive. È una visione tragica della vita, quella dell’autore ed è tragica la realtà dei suoi personaggi, sopraffatti dal destino. Realtà tragica ma non immodificabile, i personaggi di Longo non sono la fiumana dei vinti di Giovanni Verga. C’è chi al destino si ribella, c’è il pizzaiolo che lavora a Roma e da tredici anni torna a casa, a Napoli, solo un giorno la settimana – “Lavora come un disgraziato perché non deve mancare niente” dice la moglie – c’è il killer che spera che il figlio non segua la sua strada, la ragazzina che rifiuta di sposare il boss del quartiere. E un giovane delinquente intravede negli occhi di un vecchio, che aveva ferito e rapito e incontra poi per strada, una realtà altra da quella in cui è cresciuto: “Appena mi ha guardato ho capito che si ricordava di me. Mi aspettavo che si spaventava oppure che mi guardava con la rabbia. Invece non teneva né paura né rabbia. Era uno sguardo che non ho visto mai”.