Una sera di gennaio Massimo Sorci, giornalista professionista, che vive da più o meno trent’anni a Genova e lavora come addetto stampa a Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova, progetta, seduto sul divano di casa, di conquistare tutti gli Ottomila della Terra, trasformandosi in alpinista di risulta.
La sua intenzione è salire in un anno solare un totale di 116mila metri principalmente tra le vette liguri e umbre, con qualche puntata sulle Alpi e in altre regioni del Centro Italia, mettendo in fila le quattordici vette più alte della terra, dall’Everest allo Shisha Pangma, rosicchiando tempo agli impegni familiari e al lavoro. Un progetto donchisciottesco, lo definisce nel libro che raccoglie il risultato di quell’anno: Ottomila dal Divano, edito da Serel International – Stefano Termanini Editore.
Un volumetto di 220 pagine che non è il resoconto passo-passo di quell’impresa (riuscita, possiamo dire senza paura di fare spoiler), ma un sorprendente racconto da un lato fatto di riflessioni personali che assumono il carattere di universalità, dall’altro un excursus nella storia dell’alpinismo in un paragone che risulta persino credibile. E così il monte Fasce (834 metri) diventa il Nanga Parbat con tutte le varie vie a seconda della parete di ascesa, mentre il K2 assume le sembianze di Torre Maggiore, una montagna dei Martani, dalle parti di Terni in un parallelismo legato al fatto che il K2 è la montagna degli italiani (come l’Everest è degli inglesi) e le viscere, a Sorci, le smuove Torre Maggiore.
E si susseguono valutazioni su distanze siderali, religione, natura, storia del pensiero scientifico e alpinismo, con il racconto delle grandi imprese e ricordando le persone che hanno perso la vita lassù come Livio e Roby Piantoni, padre e figlio morti in due spedizioni diverse nel 1981 e nel 2009. C’è spazio anche per la storia che hanno “visto” i monti liguri, soprattutto nel periodo della Seconda Guerra Mondiale: “A Barbagelata la Resistenza esala dai muri. Ogni pietra sembra respirare ancora e restituire alla memoria l’aria delle rappresaglie, gli odori della polvere da sparo, il fiato raggrumato della paura. Ci sono lapidi con liste di nomi, come un po’ dappertutto in Italia, nei posti dove si è combattuto. Ma qui è diverso. Qui pare di vederle le colonne scure dei tedeschi e dei repubblichini occupare la strada principale. Si sente ancora il rombo dei motori e lo scalpiccio dei militari sorpresi dall’azione del distaccamento Peter, una brigata della divisione Cichero che, grazie anche all’aiuto della gente di lì, tiene in scacco più di quattrocento uomini, pazzi di rabbia. Arrivato all’asfalto ho la possibilità di aggiungere qualcosa al mio personale 25 aprile: leggo che «anche qui fischiò il vento, anche da qui scese a valle la libertà». Il qui è il passo della Scoglina”.
Il Monte Aiona, in val d’Aveto è invece il Cho Oyu, dalla cima atipica perché molto larga e chiamato la “Dea Turchese”. E in questo anno vissuto in sali-scendi con esperienze notturne, nella neve, persino un trail in val d’Aosta percorso con problemi al ginocchio, diventa persino possibile trovare una nuova via nella montagna che si è già “conquistata” almeno cinquanta volte.
Come un novello Nirmal Purja, alpinista nepalese che in poco più di sei mesi nel 2019 ha scalato tutti i quattordici Ottomila guidando un team composto interamente da connazionali, Sorci macina metri di dislivello e riflette: “Che obiettivo è mai conquistare metaforicamente le quattordici più alte montagne del mondo senza raggiungerne la vetta? Che valore ha?”. Lo si scoprirà alla fine del viaggio.
Il libro è arricchito dalla trasposizione degli appunti e dei disegni che l’autore ha tracciato durante tutto l’arco dell’esperienza.