All’ospedale San Martino di Genova mancano posti di rianimazione e per le cure di media intensità, il personale è insufficiente e in questi mesi non si è approfittato della tregua concessa dall’epidemia per rafforzare i servizi territoriali.
Finito il primo periodo di emergenza, i reparti aggiuntivi sono stati chiusi e il personale assunto per l’occasione è stato mandato a casa. È quanto denuncia a Liguria Business Journal un infermiere del San Martino che durante la prima ondata di epidemia ha prestato servizio in un reparto di rianimazione Covid.
«Questa fase – dice l’infermiere – non è assolutamente paragonabile a quella precedente. Allora era comprensibile che il sistema fosse stato colto impreparato, è avvenuto ovunque, e noi eravamo determinati, abbiamo affrontato con entusiasmo e abnegazione difficoltà che erano enormi. Ora, essere ricaduti nella stessa situazione drammatica è avvilente. Chi segue i social avrà notato che, rispetto alla prima fase, le dichiarazioni del personale sono molto meno frequenti, non si ha tanta voglia di comunicare, piuttosto ho visto tanti colleghi uscire dall’ospedale piangendo».
Che cosa sta succedendo?
«Mancano personale e strutture. C’è di nuovo scarsità di posti di rianimazione. Teniamo presente che ora tutti sono preoccupati per l’epidemia ma negli ospedali i posti di rianimazione devono essere utilizzati anche per i pazienti chirurgici non Covid. Ora siamo a tappo, e succede che non siano più garantibili nell’immediato posti di rianimazione post chirurgici per interventi di grossa entità, anche oncologici. Senza contare che tutto quello che non è grave e urgente passa in secondo piano, l’intervento è rimandato a tempi migliori. E per quanto riguarda il personale, parlo degli infermieri, che è il settore che conosco meglio, al San Martino lavorano 1.500 infermieri circa, ora ne occorrerebbero almeno 500 in più, visto che hanno mandato 500 lettere con offerte di assunzione. Credo che non tutti risponderanno, alcuni avranno trovato un altro lavoro».
Ma non era stato assunto personale aggiunto durante la crisi?
«Sì, ma è stato dismesso. Come sono stati chiusi i reparti di rianimazione aggiuntivi. Li hanno riparti solo ora, ma riaprire un reparto di rianimazione è una cosa che non si può fare in poche ore. E richiede personale specializzato. Così al Fagiolone (il reparto al terzo piano del Padiglione Nuovi Laboratori, divenuto noto nella fase del lockdown come “Fagiolone”, ndr) ieri c’erano 45 ammalati di cui uno intubato, con tre infermieri in tutto».
Inoltre, «bisognava potenziare i servizi territoriali, le cure domiciliari, chi è a casa e non si sente seguito poi va al pronto soccorso, che altro può fare? Mancano anche strutture per i pazienti di intensità media, che hanno bisogno di assistenza respiratoria. Non sappiamo dove metterli. Ora stanno allestendo un ospedale da campo davanti al pronto soccorso del San Martino. Speriamo che la situazione migliori».
La denuncia dell’infermiere è confermata da quanto ci dichiara un medico di famiglia: «L’ossigeno che ho prescritto ieri per un mio paziente arriverà l’11 novembre. E poi dicono di curare i pazienti a casa per non intasare i pronto soccorso!».
Secondo l’infermiere, «c’è stata, a dir poco, imprevidenza. Eppure chi ha un minimo di esperienza sapeva che l’epidemia sarebbe tornata. Ma abbiamo visto esibirsi in tv personaggi che pensavano a soddisfare la loro vanità invece di impegnarsi nel loro lavoro. Il male viene dall’alto».