In questi giorni il tema infrastrutture è stato l’argomento più dibattuto sui principali media genovesi e liguri. La pesante situazione sulle nostre autostrade e i recenti provvedimenti del governo contenuti nel Dl “Semplificazioni” hanno sicuramente contribuito a rendere rovente l’atmosfera del dibattito pubblico. A breve inaugureremo il nuovo viadotto Polcevera, col rischio che sia l’unica parte “sana” del sistema autostradale ligure. Tra gli esponenti della politica ligure che in questi anni si sono più spesi sul tema delle infrastrutture e sul loro sviluppo vi è Edoardo Rixi, deputato genovese della Lega e sottosegretario di Stato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti durante l’esperienza di governo gialloverde. A lui abbiamo rivolto alcune opinioni in merito alla proposta di Dl “Semplificazioni” e in merito alla situazione generale della logistica ligure.
Come giudica complessivamente il dl Semplificazioni? Crede che vada nella direzione del vostro “modello Genova”?
«In alcuni aspetti è positivo, penso al superamento delle gare d’appalto. Per altri aspetti, ritengo vi sia stata troppa timidezza, in quanto questo decreto avrà valenza solo fino al luglio prossimo. Inoltre, dovrà essere contorniato di ben 155 decreti attuativi, un’enormità. Questa struttura burocratica rischia di essere ancora più difficilmente attuabile del codice degli appalti. Il vecchio “decreto Genova”, per esempio, necessitava solo di 45 decreti ministeriali per la sua attuazione».
La sua collega Raffaella Paita è convinta che vi possa essere convergenza tra le intenzioni del Governo in merito alla politica infrastrutturale e il punto di vista della Lega in materia di grandi opere. Ritiene questa opinione fondata?
«Può darsi che con una parte del governo vi possa essere convergenza, ma sicuramente non con tutto, e sembra che vi sia troppa timidezza nello smarcarsi da parte delle forze politiche con cui in certi casi si potrebbe convergere. Penso alla realizzazione della Gronda, che a oggi non è ancora stata messa in cantiere perché provocherebbe lacerazioni all’interno della maggioranza, nonostante non vi siano più intralci burocratici che ne ostacolino il cammino. Complessivamente, non mi sembra che questo governo sia favorevole alle opere pubbliche, anche se magari una sua parte la pensa diversamente. Per esempio, oggi discutevamo in Parlamento una norma concordata tra Italia Viva e la Lega riguardante alcune opere compensative per la Liguria a seguito dei disagi sulla rete infrastrutturale degli ultimi giorni. Nonostante questa proposta fosse stata concordata, IV all’ultimo momento è stata costretta a votarvi contro, poiché un voto a favore di un progetto delle opposizioni avrebbe messo alla prova la coalizione governativa».
Sempre in merito al dl, avete affermato che tale decreto allungherebbe, invece che accelerare, i tempi di cantierizzazione della Gronda di Genova. Perché ritiene che questo rischio sia reale? Perché l’opera non è stata sbloccata ai tempi del governo gialloverde?
«Ai tempi del Governo gialloverde mancavano ancora le ultime autorizzazioni, che sono state concesse al momento della mia fuoriuscita dal Mit. A oggi, ritengo che la Gronda non venga realizzata per problemi interni alla maggioranza. Al momento, non è necessario alcun decreto per far partire i cantieri, perché la realizzazione di questa opera era già implicita nella concessione autostradale che, nonostante i recenti avvenimenti, non è stata minimamente toccata. Non capiamo come il dl “Semplificazioni” possa far partire quest’opera che non ha nulla a che spartire con tale iniziativa del Governo».
Tra i 2.600 milioni stanziati per il trasporto pubblico locale non sembrano essere previsti i 450 milioni richiesti dalla giunta Bucci per l’espansione della rete filoviaria genovese. Come commenta questa scelta?
«Questa è una scelta surreale che fa capire quanto siano surreali le regole in Italia. Dal dl traspare come siano stati invece concessi fondi ai progetti di Bologna e Torino. Col passato Governo erano stati previsti 320 milioni in arrivo per Genova entro il 2019 e i restanti 130 entro quest’anno. Se è vero che sono stati eliminati, mi verrebbe da pensare che i due progetti citati siano stati finanziati come marchetta politica, all’uno in concomitanza del discorso elezioni regionali, all’altro per “ammansire” il sindaco di Torino sulla questione della Tav».
Il suo partito, la Lega, parla spesso di “modello Genova” da applicare alla realizzazione di tutte le grandi opere, ma questo significherebbe fare continuamente eccezioni alla norma. Secondo lei è normale che per sbloccare i cantieri occorra spesso agire in deroga? Non è possibile creare un codice semplice e chiaro da applicare sempre in ogni circostanza?
«Per noi il decreto Genova deve diventare la norma, e non l’eccezione, per gestire i cantieri in Italia. Rispetto ad altri paesi, come la Germania o gli Stati Uniti, solo l’Italia ha un codice degli appalti o le gare d’appalto con un massimo di ribasso. Solo in Italia concepiamo un sistema per cui le imprese non devono guadagnare sugli appalti pubblici. Questo ha inevitabilmente portato negli anni le imprese a risparmiare sui materiali utilizzati. Prova ne è che le gallerie costruite negli anni 30 spesso sono più resistenti di quelle costruite negli anni 70. Se poi aggiungiamo una diffusa deresponsabilizzazione dei funzionari pubblici in tema di controllo capiamo bene perché i ponti cadono in questo paese. Questa crisi inoltre si ripercuote sull’intera filiera industriale connessa all’edilizia. 10 anni fa, in Italia erano presenti almeno trenta imprese in grado di ricostruire il viadotto Polcevera. Oggi le imprese sono solo cinque. Non è un caso che grandi aziende come Astaldi e Condotte siano fallite proprio in questi anni».
Una domanda riguardante il porto di Genova: da una recente intervista a Giancarlo Vinacci, responsabile del dipartimento nazionale sviluppo e innovazione di FI, è emerso che nonostante il porto di Genova sia il primo contribuente italiano, ogni anno si ripete la scena dei rappresentanti di Adsp che mendicano a Roma soldi per la costruzione della nuova diga di Sampierdarena. Non crede che tale tematica renda ancor più centrale la discussione sull’autonomia fiscale dei porti italiani?
«Assolutamente sì, è un tema che abbiamo sempre sostenuto ma che non riguarda solo l’autonomia fiscale. A tal proposito, è un paradosso pensare che il Governo abbia concesso bonus fiscali di 120 milioni per i monopattini elettrici e solo 10 milioni a sostegno della portualità. I fondi delle autorità portuali per la maggior parte derivano dallo sdoganamento delle merci, da cui ricavano centinaia di milioni l’anno. Nonostante questo, ancora non riusciamo a trovare i fondi per il rifacimento della diga del bacino di Sampierdarena. Diga che, se non verrà costruita entro 6-7 anni. Provocherà una decadenza degli scali genovesi in materia di traffici, non dimentichiamo che le navi diventano sempre più grandi, ma il nostro porto è sempre lo stesso».
Un’ultima domanda sempre in tema di porti: subito dopo il lockdown, molti armatori si sono lamentati dello scarso sostegno dello Stato nei confronti della loro categoria. Ritiene che si potesse fare di più? Oltre agli armatori, anche i lavoratori portuali ritiene siano stati dimenticati?
«Certamente. Nel corso dei mesi si sono avuti provvedimenti altalenanti in materia di shipping. Vi sono stati armatori abbandonati completamente, penso per esempio all’industria crocieristica che attende ancora oggi il via libera ministeriale per riprendere le attività col rischio di perdere l’intera stagione turistica. Non sono stati concessi aiuti di nessun tipo agli armatori, eccezion fatta per Tirrenia Moby, cui è stato consentito di operare durante il lockdown con grande ira dei concorrenti. Su questo caso rimproveriamo al Governo di aver fatto dei favoritismi, e riteniamo che andassero concesse proroghe ai servizi di continuità territoriale per impedire che insorgessero tensioni nel mondo armatoriale. In tema dei lavoratori portuali, è stato fatto tempo addietro un emendamento a favore delle compagnie uniche in tema di sostegno economico dovuto al sottoimpiego a causa lockdown. Più recentemente è stato affrontato il tema dell’autoproduzione dei servizi portuali dopo vari episodi avvenuti durante il periodo di chiusura. Nel dl Rlancio è stata risolta una volta per tutte la questione, restringendo ancora di più le casistiche in cui essa è consentita, accogliendo in toto le richieste dei sindacati dei lavoratori portuali, ma non coinvolgendo gli altri stakeholder. La Lega è sempre stata convinta della bontà di tale norma, in quanto siamo convinti che alcuni servizi (pilotaggio, ormeggio) riguardano la sicurezza nei porti, che deve essere di competenza dello Stato. Per contro, dobbiamo constatare come la diatriba sia stata risolta senza condividere le scelte coi cluster marittimi, di cui, oltre ai lavoratori, fanno parte le compagnie armatoriali. Rischiamo quindi di fomentare tensioni tra queste due componenti nel momento in cui, in Italia, andremo incontro a momenti di forte tensione nel mondo del lavoro».