Testo a cura di Prestiter
È una domanda comune da quando, a causa dei recenti avvenimenti mondiali, è scattato l’allarme dei prezzi, con i generi di prima necessità ormai alle stelle e salari che, invece, restano, in Italia, i più bassi d’Europa.
Il rincaro dei generi alimentari, dell’energia e delle materie prime ha colpito ormai tutti i settori e le conseguenze sono percepibili per ognuno di noi. Infatti, la congiuntura attuale ha visto un aumento notevole sui prezzi dei generi alimentari di prima necessità, come pane, latte, pasta che negli ultimi mesi sono schizzati alle stelle. L’aumento dei prezzi, è un fenomeno che prende il nome di inflazione, che diminuisce in buona sostanza il potere d’acquisto delle famiglie e quindi il valore reale dei salari.
Il potere d’acquisto dei salari in Italia
In Italia, la percezione è che il potere d’acquisto dei salari stia crollando. Ma è proprio così? Da una recente analisi condotta dall’Ocse emerge che i salari italiani hanno perso potere d’acquisto rispetto a trent’anni fa e continuano ad essere fanalino di coda nella classifica dei Paesi europei.
Mentre in Europa gli aumenti salariali più consistenti si sono registrati nei paesi dell’ex blocco sovietico come Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, dove il salario medio annuale è raddoppiato a parità di potere d’acquisto, e nei paesi baltici come Estonia, Lettonia e Lituania dove tra il 1995 e il 2020 i salari sono più che triplicati, l’Italia è l’unico Paese europeo ad aver assistito ad una contrazione del potere d’acquisto delle buste paghe, più precisamente del -2,90%, dal 1990 fino a oggi.
La cosa che sorprende, stando ai calcoli dell’Istat, l’istituto nazionale di statistica, è che il potere d’acquisto dei salari dei lavoratori italiani è oggi sostanzialmente pareggiato rispetto a quello di trent’anni fa, nonostante la percezione generale sia stata di una sostanziale perdita di potere d’acquisto. Per capire la variazione delle retribuzioni reali bisogna convertire il valore del 1990, nel valore equivalente in euro del 2022 attraverso il Calcolatore delle rivalutazioni monetarie fornito dall’Istat.
Ad esempio 1.000.000 di lire del 1990, che potevano rappresentare un salario medio ragionevole, oggi, a parità di acquisto, varrebbero 1200 euro, che nulla ha a che vedere con il cambio in euro che ammonterebbe a circa 516 euro. Infatti, come già ripetuto, in questi 30 anni c’è stato un aumento dei salari che secondo la ricerca dell’Ocse non ha sostanzialmente migliorato la capacità di acquisto dei salari, addirittura peggiorandola leggermente.
Quando l’inflazione rappresenta un vantaggio
Quindi, nonostante il sostanziale pareggio negli anni del potere d’acquisto dei salari, rimane preponderante il fatto che in Italia esista una questione salariale da sanare. La cosa interessante da constatare, invece, è che la stagnazione dei salari non è “tutta colpa dell’inflazione” ma che altri importanti fattori come disoccupazione, fuga di cervelli, cuneo fiscale e dispersione scolastica entrano in ballo nell’evoluzione dei salari in Italia.
Volendo vedere il lato positivo della questione, ci sono casi in cui l’inflazione può addirittura rappresentare un vantaggio per le finanze, come nel caso di una richiesta di prestito. Richiedere oggi un prestito, di fatto, può risultare una mossa vincente perché permette di sfruttare il denaro al valore di mercato attuale e restituire nel tempo rate molto più leggere.