
“Ogni società, qualunque sistema politico abbia, si trova eternamente in bilico tra un passato che rappresenta la sua memoria e una visione del futuro che ispira la sua evoluzione. Lungo questa strada, è indispensabile avere una leadership: occorre prendere decisioni, conquistarsi fiducia, mantenere promesse, proporre una rotta da seguire”.
Così inizia il libro di Henry Kissinger “Leadership-Sei lezioni di strategia globale” (Mondadori). Figura leggendaria della politica internazionale, Kissinger è stato consigliere per la Sicurezza nazionale e segretario di Stato dei presidenti americani Richard Nixon e Gerald Ford e consulente di politica estera di successive amministrazioni. Ha ricevuto il premio Nobel per la pace e molte altre altissime onorificenze civili. È autore di numerosi saggi e libri di politica estera e relazioni diplomatiche.
In questo libro l’autore indica sei leader straordinari con i quali ha interagito o collaborato, individuando le strategie distintive di ognuno. Konrad Adenauer, il primo artefice della resurrezione della Germania dopo il secondo conflitto mondiale, Charles de Gaulle che sostenne senza indecisioni la causa antinazista, riuscendo a mantenere la Francia, occupata e collaborazionista, dalla parte dei vincitori, Richard Nixon, autore del disimpegno degli Stati Uniti dalla guerra del Vietnam e delle nuove relazioni con la Cina. E il leader egiziano Anwar Sadat che con il primo ministro israeliano Menachem Begin strinse gli accordi che condussero al trattato di pace israelo-egiziano del 1979 e al ritiro delle truppe israeliane dal Sinai, Lee Kuan Yew, artefice di una potente città-Stato, Singapore, Margaret Thatcher che fermò il declino della Garn Bretagna e seppe rinnovarne la struttura economica.
Sei statisti dotati di lungimiranza e forza d’animo, sei ritratti da studiare. Per capirli alla luce delle considerazioni di Kissinger e anche per cogliere o ricordare aspetti della loro attività noti ma che con il tempo possono essersi sbiaditi nel ricordo.
Per esempio, Nixon, il politico con il quale Kissinger ha avuto il rapporto più intenso, firmò con il Vietnam del Nord comunista il trattato di pace di Parigi del 27 gennaio 1973 che mise fine al disimpegno degli Usa nel paese asiatico. Nella primavera del 1975 il Vietnam del Nord tradì l’accordo e invase il Vietnam del Sud, e migliaia di civili vietnamiti fuggirono dal regime comunista di Hanoi, che stava trasformando il paese in un gigantesco gulag. Uomini, anziani, donne e bambini, respinti dagli stati confinanti, imbarcati su scialuppe nel Mar Cinese Meridionale, esposti a burrasche e pirati, sono passati alla storia come “boat people”. Una vicenda che non deve avere giovato alla fiducia negli Usa da parte di potenziali alleati nelle aree più turbolente del pianeta.
Ma il trattato firmato da Nixon, spiega Kissinger, “si basava sull’assunto che durante l’offensiva nordvietnamita del 1972 Saigon avesse dimostrato di essere capace di resistere alle operazioni militari di Hanoi, purché ricevesse i rifornimenti garantiti (secondo cui il nuovo materiale militare poteva sostituire solo con materiale militare uguale, su base paritaria) e purché, in caso di attacco massiccio, la potenza aerea americana fosse a disposizione. (Da assunti analoghi si era partiti all’epoca dell’armistizio che nel 1953 aveva segnato la fine della guerra di Corea e permesso lo sviluppo dela Corea del Sud, che sarebbe, col tempo, diventato un paese prospero e libero). Ma intervenne lo scandalo Watergate, l’opinione pubblica americana non avrebbe tollerato un altro intervento in Asia e, racconta Kissinger, “il Congresso tagliò completamente gli aiuti militari alla Cambogia condannando il paese a farsi governare da criminali come i khmer rossi, ridusse del 50 per cento l’assistenza militare ed economica al Vietnam del Sud e vietò tutte le azioni militari per terra, per aria in Vietnam del Sud, Laos e Cambogia. In tali condizioni, diventava impossibile rispettare le clausole dell’accordo di Parigi e le restrizioni su Hanoi scomparvero. Con gli accordi di Parigi Nixon aveva portato il suo paese a un risultato che conciliava l’onore con la geopolitica (…) nell’agosto del 1974 si dimise dalla presidenza. Otto mesi dopo Saigon fu invasa dall’intero esercito nordvietnamita. A parte gli Stati Uniti, nessuno dei nove garanti internazionali del trattato osò protestare”.
Pacifisti e progressisti in America e in Europa furono appagati, cambogiani e vietnamiti, che avrebbero forse potuto seguire un percorso simile a quello della Corea del Sud, e furono condannati gli uni a un genocidio, gli altri a un regime comunista, probabilmente rimasero meno soddisfatti. La concezione gepolitica degli Usa dovette essere rivista, il concetto di “onore” rimase un po’ sacrificato.