Rapporto regionale pmi 2022 di Confindustria: segnali di ripresa, ma prospettive incerte

In base alle previsioni di Cerved il processo di recupero delle pmi italiane potrebbe subire un rallentamento nel prossimo biennio

Rapporto regionale pmi 2022 di Confindustria: segnali di ripresa, ma prospettive incerte

Il Rapporto regionale pmi 2022, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con Unicredit e Gruppo 24 Ore, analizza gli andamenti e le prospettive delle 160 mila società italiane che – impiegando tra 10 e 249 addetti e con un giro d’affari compreso tra 2 e 50 milioni di euro – rientrano nella definizione europea di piccola e media impresa, e generano un valore aggiunto complessivo pari a 204 miliardi di euro.

Lo studio tiene conto del conflitto russo-ucraino e della persistenza dei rincari sul mercato delle materie prime e analizza l’esposizione delle pmi italiane ai rischi climatici, ambientali e di transizione nelle diverse regioni.

«Dopo due anni di pandemia i segnali di ripresa del 2021 erano stati confermati per il 2022 e i fondi del Pnrr avrebbero dovuto funzionare da buster per l’economia e, se ben spesi, avrebbero dovuto gettare le basi per la crescita complessiva del Paese – commenta Renato Goretta, presidente della Piccola Industria di Confindustria Liguria –. Dal rapporto emergono una realtà e delle previsioni diverse da quelle di metà 2021 e uno dei due scenari presentati è particolarmente cupo».

La diffusione della pandemia ha interrotto la lenta ripresa delle pmi italiane che nel 2020 hanno visto calare i loro fatturati dell’8,6%. La diversa intensità degli impatti della pandemia riflette la profonda eterogeneità del nostro tessuto produttivo e le differenti esposizioni delle economie locali. La macroarea più colpita è stata il Centro Italia. Impatti importanti si registrano anche nelle regioni del Nord-Ovest (-8,8% e -10,1%) e del Nord-Est (-8,5% e -9,0%), dove a pesare sono stati i cali nel settore manifatturiero e nei servizi.

Nel 2021 le stime sui conti economici delle piccole e medie imprese fanno emergere i primi segnali di ripresa, certificati anche dalla tenuta complessiva degli indicatori di stabilità finanziaria. Sulla base delle stime, il fatturato delle pmi italiane è previsto in crescita dell’8,1% su base annua. Sul fronte della redditività lorda, nel 2021 si prevede una crescita molto più netta, con un incremento dei margini su base annua del 17,5%.

Nel 2021 i tassi di natalità hanno mostrato un forte impulso, con oltre 96 mila nuove imprese e una crescita su base annua del 19,8%. Gli incrementi più significativi si osservano nel Nord-Ovest (+22,6%).

Cerved ha definito uno score che misura il grado di esposizione delle imprese italiane al processo di transizione. Le pmi che operano in settori a rischio di transizione alto o molto alto sono poco più di 16 mila (il 10,6% del totale), impiegano 478 mila addetti (l’11,0%) e presentano un’esposizione verso il sistema creditizio di oltre 44 miliardi (il 17,1%). Il Nord-Ovest è l’area che evidenzia le incidenze più basse (9,6%).

In base alle previsioni di Cerved sugli effetti del nuovo scenario geopolitico sulle pmi, il processo di recupero delle pmi italiane potrebbe subire un rallentamento nel prossimo biennio. Nello scenario “base”, i livelli pre-Covid saranno recuperati in tutte le aree dal 2022. Al termine del periodo di previsione il Nord-Ovest farà registrare il rimbalzo contenuto (+2,4%).

Nello scenario “worst” la dinamica di ripresa dei ricavi delle pmi potrebbe subire invece un netto arresto, per effetto di una scarsa crescita nel 2022 e di una contrazione nel 2023. In entrambi gli scenari, dopo il calo della rischiosità del 2021, la quota di pmi a rischio torna a risalire.

«Alla definizione ha contribuito la valutazione dell’impatto delle transizioni ecologica e digitale. Due aspetti dei quali dovremmo tenere assolutamente conto in termini di investimenti e di tempi di attuazione – commenta Goretta –. Inoltre, ai colpi di coda della pandemia si sono aggiunti il rincaro del costo dell’energia; la guerra, con le sue ripercussioni geopolitiche; la fragilità e la lunghezza della catena della fornitura e una criticità alla quale siamo poco abituati: l’inflazione. Tra l’altro la “nostra” inflazione è particolarmente subdola in quanto deriva solo in minima parte dall’aumento della domanda mentre, in massima parte, deriva dall’aumento del costo delle materie prime e dell’energia. Alla luce di queste cause trovo davvero sbagliato l’aumento del costo del denaro disposto dalla Bce e di quelli annunciati. La Piccola Industria ligure opera in un contesto, quello del Nord Ovest, oggettivamente fra i migliori del Paese. Dopo la crisi finanziaria del 2007, e la “selezione naturale” conseguente, anche le Piccole Industrie liguri si sono patrimonializzate, sono più solvibili e meno rischiose. Sinceramente, speravamo di usare meno la parola resilienza, ma è chiaro che ciò non sarà possibile. Come al solito saremo all’altezza della situazione».

Regione Liguria

Dopo cinque anni consecutivi di crescita, la pandemia ha determinato una contrazione del numero di pmi. In base agli ultimi dati demografici e di bilancio disponibili, nel 2020 il numero stimato di pmi che operano nel nostro sistema produttivo si attesta a quota 153.627, un dato in flessione del 3,9% rispetto al 2019 ma ancora superiore del 2,5% rispetto ai valori del 2007.

Le pmi italiane impiegano 4,5 milioni di addetti, occupati per il 53,4% nelle piccole imprese e per il 46,6% nelle imprese di media dimensione. Il Nord-Ovest è l’area che fornisce il maggior contributo occupazionale, con più di 1,5 milioni di occupati (34,9% del totale della forza lavoro impiegata nelle pmi).

Nel 2007, prima della crisi finanziaria, le pmi italiane erano caratterizzate da profili più rischiosi rispetto a quelli attuali. Negli ultimi anni il tessuto di piccole e medie imprese si è infatti rafforzato sotto il profilo patrimoniale, anche in seguito all’uscita dal mercato delle società più fragili e indebitate.

Attraverso il Cerved Group Score (CGS) è possibile monitorare l’evoluzione del rischio in chiave prospettica valutando l’impatto dell’emergenza Covid nel 2020 e della ripresa del 2021 sui profili di rischio delle pmi. I dati di fine 2020 mettono in evidenza una forte riduzione delle pmi in area di sicurezza e un consistente aumento delle pmi rischiose. Nel 2021, per effetto del graduale rallentamento delle restrizioni e della ripresa dell’attività economica l’indice fa registrare un netto miglioramento: la quota in area di sicurezza ritorna a crescere e nello stesso tempo si riduce la percentuale di pmi a rischio, restando tuttavia su livelli più elevati rispetto al 2019.

 

La distribuzione geografica delle tre diverse componenti del rischio fisico riflette l’eterogeneità del territorio italiano, con forti differenze a livello regionale. L’area che presenta una maggiore quota di addetti di pmi in zone ad alto rischio di alluvione è il Nord-Est (21,9% del totale), seguito dal Centro (16,1%), dove è significativa l’esposizione della Toscana (39,2%), e dal Nord-Ovest (4,9%), trainato dal dato della Liguria (21,2%). In termini di rischio frane la Valle d’Aosta evidenzia i livelli di rischiosità più alti (32,9% addetti in classi di rischio alta o molto alta), seguita dalla Liguria (15,3%).

 

«Il Rapporto Regionale pmi rappresenta una preziosa cassetta degli attrezzi di analisi e proposte per sostenere e accompagnare le imprese nel percorso di ripresa – dice Vito Grassi, presidente del consiglio delle Rappresentanze regionali e vicepresidente di Confindustria –. Gli interventi non dovranno tenere conto solo delle criticità congiunturali, ma anche delle caratteristiche strutturali delle nostre pmi. In base alle nostre previsioni il processo di recupero delle pmi italiane potrebbe subire una battuta d’arresto. È in bilico la tenuta stessa del sistema e per questo è necessario mettere in campo azioni diversificate, orientate al sostegno della competitività delle aziende, vero motore per la ripresa del Paese. Occorre creare migliori condizioni e più efficaci strumenti per potenziare la struttura finanziaria, la patrimonializzazione delle imprese e rilanciarne gli investimenti, per accompagnarle in un percorso di crescita e di innovazione che coinvolga anche il capitale umano».

«Dal rapporto emerge chiaramente come l’attuale scenario internazionale e gli effetti sui rincari dei prezzi delle matrie prime – ha spiegato Remo Taricani, deputy head UniCredit Italia – rischiano di interrompere il percorso di ripartenza post pandemico che il sistema produttivo del Paese aveva intrapreso. Le banche giocano un ruolo rilevante per il sostegno all’economia, anche perché in Italia sono la principale fonte di finanziamento delle imprese».

 

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