
“Stroscià” nei dialetti dell’estremo Ponente ligure vuol dire spezzare, rompere. E la torta stroscia, diffusa da quelle parti, è una torta che non si taglia, altrimenti va in briciole, si spezza con le mani, tanto è secca e friabile. Caratteristica dovuta al fatto che la sua componente liquida è quasi del tutto costituita da olio d’oliva. Niente acqua, burro, uova: soltanto olio, e un po’ di vino per il suo profumo. Una specie di pasta frolla dove al posto del burro c’è l’olio. Il risultato è un dolce dal sapore delicato, non meno grasso rispetto alla pasta frolla, alla torta sbrisolona, ecc…, perché l’olio è un grasso come lo è il burro, ma con una fragranza tutta sua.
Ne trattiamo perché questa torta è buona, facile da preparare e merita di essere più conosciuta oltre i confini dell’imperiese e perché dimostra dove può arrivare l’olio extravergine d’oliva ligure.
Le impressioni che questo olio dà, di delicatezza e dolcezza, poggiano su basi oggettive. Derivano dalla presenza della cultivar taggiasca e di cultivar simili tra le olive utilizzate per la spremitura, dalle caratteristiche del terreno e del clima della Liguria, e si possono tradurre in termini quantitativi. Lo fa il disciplinare Dop Riviera Ligure di Riviera dei Fiori, Ponente Savonese e Riviera di Levante. La Dop garantisce il massimo della tipicità, possiamo utilizzare per questa ricetta anche un olio non Dop, se siamo sicuri che è del Ponente e ottenuto dalla taggiasca. Comunque vediamo che cosa prescrive il disciplinare per la Dop Riviera dei Fiori.
«L’olio extravergine “Riviera Ligure”, accompagnata dalla menzione geografica “Riviera dei Fiori”, deve rispondere alle seguenti caratteristiche:
colore da giallo a giallo-verde;
odore fruttato di lieve o media intensità;
sapore fruttato con sensazione decisa di dolce ed eventuali;
leggera sensazione di piccante e/o sensazione appena percettibile di amaro;
punteggio al Panel test >= 6,5
acidità massima totale espressa in acido oleico, in peso non superiore a grammi 0,5
per 100 grammi di olio;
numero perossidi <= 17 MeqO2/Kg
K 232 <= 2,30
K 270 >= 0,160».

Via via che dal dal Ponente si va verso Levante troviamo oli più fruttati e sapidi, ma sempre delicati e morbidi.
Dolcezza e delicatezza sono caratteristiche così marcate che agiscono anche in senso negativo: l’olio ligure non piace a tutti e non va bene su tutto. Due anni fa, a Sanremo, all’Hotel Miramare, a un gara d’assaggi di oli extravergine di aziende provenienti da tre continenti, gli organizzatori avevano predisposto una scheda d’assaggio innovativa, che considerava anche il gusto dolce. Perché l’olio ligure, in particolare quello del Ponente, con i parametri usuali all’estero spesso non riesce a fare incetta di premi: nelle schede ufficiali dei concorsi di degustazione, riconosciute e accettate dalla comunità internazionale, assumono importanza anche i gusti dell’amaro e piccante di cui il nostro prodotto è tradizionalmente sprovvisto. Non sappiamo come sia andata la gara e se i concorsi di degustazione abbiano modificato i loro parametri o li stiano modificando, certamente non dobbiamo modificare il nostro olio, ma utilizzarlo e proporlo in contesti appropriati.
L’olio è come il vino, a parte i gusti personali determinati cibi richiedono determinati vini e non ne vogliono altri. Il Barolo, per dire, è un gran vino ma se lo beviamo mangiando rossetti (una volta avremmo detto anche bianchetti…) bolliti, sprechiamo Barolo e rossetti. Così, il nostro olio è insuperabile per condire il pesce, lo fa senza coprire gli aromi salsi, e anche per certe verdure. Esalta i sapori di questi cibi, non li copre. Nel pesto genovese bilancia l’asprezza e la sapidità dell’aglio e dei formaggi. Ma sulla bistecca va meglio un olio toscano, umbro, laziale, su verdure dal sapore deciso, come le cime di rapa, è ottimo quello pugliese, ecc…
E ora veniamo alla nostra ricetta.
Gli ingredienti sono:
1 kg di farina 00;
1 bustina di lievito per dolci (oppure una congrua quantità di lievito madre, chi è capace di farselo sa anche quanto ne occorre);
300 grammi di zucchero;
½ litro d’olio extravergine di oliva taggiasca;
1 bicchiere di Vermouth o di un buon vino passito. Alcuni usano il Marsala, che a noi sembra un po’ troppo “prepotente”;
2 cucchiai di zucchero a velo o semolato;
scorza grattugiata di un limone (facoltativo).
Si fa l’impasto come sempre, fino a ottenere un composto della consistenza simile a quella della pasta frolla, stendere la pasta in una teglia unta d’olio e cospargerla con di zucchero a velo o semolato. Lo spessore della pasta è di un centimetro, un centimetro e mezzo. Fate cuocere in forno a 180° circa per 45 minuti, ma dopo mezz’ora è bene controllare il colore della torta, che deve essere sul beige e non sul marrone.
Si consuma a temperatura ambiente, ben accompagnata da un vino dolce.
Placet experiri!