

L’emblema di quello che sembra essere il Pd genovese (e ligure) oggi, almeno a chi lo vede da esterno, può essere quanto è successo durante l’incontro informale sul programma per il futuro della città di Genova che si è tenuto il 29 dicembre al piano ammezzato di Palazzo Ducale tra i cosiddetti “renziani” e i comitati del sì al referendum: mentre Manuela Arata stava illustrando un confronto tra le potenzialità colte da San Francisco e le possibilità presenti a Genova, un esponente dei circoli prendeva anticipatamente l’uscita dicendo ad alta voce «bisogna parlare di partito, non di San Francisco», salvo poi tornare dopo 15 minuti.
Il Pd ligure, ancora commissariato, vive una sorta di tregua, di attesa, che però sta assumendo sempre più i contorni dell’immobilismo e del “non so che pesci prendere”. Sembra che ci sia il timore di acuire quella spaccatura che ha lacerato e lacera il partito sin dall’esito delle primarie per il Comune di Genova, a cui è seguito l’esito della scelta per la segreteria regionale e delle primarie per le regionali (oltre che delle elezioni successive).
Il gruppo dei consiglieri liguri ha chiesto unità e il rinvio del congresso in una comunicazione ufficiale inviata proprio a fine 2016: il congresso, “alla vigilia di due elezioni amministrative di fondamentale importanza come quelle per i Comuni di Genova e La Spezia, rischierebbe di far prevalere le divisioni anziché un clima di collaborazione e costruttiva discussione politica“.
Divisioni che però potrebbero bastare anche per lacerare ulteriormente la situazione già in fase di scelta di e dei candidati, almeno a quanto si è visto all’evento del 29 dicembre. È evidente che all’interno del partito ci sia ancora un “non detto latente” che sembra ancora frammentare anziché unire.
Nel frattempo il Pd genovese ha cominciato a muoversi, affidando al web le linee attorno a cui tracciare il programma per la città.
Il 19 dicembre un documento della segreteria, approvato all’unanimità dalla direzione, sottolineava che “le candidature, compresa anche quella eventuale del sindaco uscente, dovranno passare per le primarie. Tuttavia, prima delle primarie deve esserci la politica”, ma subito dopo ecco l’alternativa: “Proprio per questo crediamo necessario convocare rapidamente le forze politiche di centrosinistra per condividere insieme con loro la possibilità di costruire una impostazione, un programma comune, e verificare se vi siano le condizioni per individuare unitariamente la figura che avrà il compito di guidare il nuovo ciclo amministrativo, senza passare per le primarie”.
Il documento elenca nove punti su cui far sintesi e la direzione impegna la segreteria a individuare una delegazione, incaricata di avviare un confronto politico-programmatico con le forze politiche e sociali della città. Inoltre ha aggiunto che nel gennaio 2017 la direzione provinciale sarà convocata per riferire sul lavoro politico e programmatico svolto e proseguire la discussione verso le elezioni amministrative. La delegazione comunque non è ancora stata formata ufficialmente, verrà individuata durante la prima riunione annuale della segreteria il 9 gennaio.
Intanto il 14 gennaio (sede e orario da definire) ci sarà il secondo incontro dei renziani, in cui si entrerà nel merito dei singoli temi/tavoli (ben 16, tra visione, uffici del Comune, Municipi, ambiente, infrastrutture, rifiuti, Iit, Università eccetera). «Spero che l’incontro si allarghi alle associazioni che vogliano dare il proprio contributo, non per aderire al Pd, ma per la città stessa», dice Pippo Rossetti.
L’impasse di queste settimane deriva anche dall’attesa di capire i movimenti di Marco Doria, che il Pd ha sostenuto in maniera poco convinta soprattutto nei primi anni di mandato, quasi facendogli pagare lo “scotto” di aver vinto le primarie, anche a causa delle divergenze di posizione sulla Gronda (sindaco contrario, Pd favorevole) e sulla questione Amt, in cui il Pd non aveva una posizione univoca. Proprio questo sembra uno degli errori da non ripetere, come sostiene Rossetti: «I tre candidati alle primarie delle scorse amministrative genovesi avevano tre programmi diversi, inevitabile che non sia riuscito a governare, è anche capitato che fosse la sua stessa lista a non condividere certe scelte».
Il sindaco ha detto di aver indicato dei punti su cui costruire la proposta, ma che non si tratta di un «menu à la carte in cui si può scegliere quello che piace e ignorare il resto»: Doria parla di sviluppo e assistenza ai deboli in primis, dicendo che questo lo può fare solo il centrosinistra e che in questi valori «si riconosce ancora una bella fetta di comunità genovese e italiana, poi che i partiti abbiano difficoltà a creare questa coalizione è un altro discorso».
L’autocandidato Simone Regazzoni, invitato all’evento del 29, ha colto l’occasione per ribadire che «finalmente si è arrivati a parlare di contenuti, ma senza cornice politica non si va da nessuna parte e si rischia un’altra sconfitta, il programma da solo non basta, abbiamo l’esempio di Toti che praticamente non ne aveva uno, ma ha vinto le elezioni». Per Regazzoni va bene avere interessi legittimi e personali, ma occorre un obiettivo comune, da mettere a sistema e oggi, secondo lui, non c’è: «Cosa vogliamo essere? Sembra che lavoriamo alla frammentazione del quark. Decidiamo di partire dai contenuti e non dalle alleanze? Il nostro partito ha detto un’altra cosa. Doria è in questa situazione perché il giudizio non l’ha dato il Pd, che deve tornare alla propria vocazione maggioritaria e non a giocare per stare a galla, perché altrimenti perderà la città». Regazzoni ha per ora un punto debole, non convince neanche tutti i renziani e oggi, per vincere le elezioni, occorre avere un consenso anche più ampio a quello del partito stesso.
Ricucirsi sulle buone idee è l’auspicio di Rossetti, che comunque non è stato esente da critiche durante la serata del 29.
Tra gli interventi qualcuno sembra aver capito che «questa sinistra genovese ha difficoltà a leggere la città» e ancora: «questo Pd non invoglia a iscriversi, non è più attrattivo, occorre ricostruire anche il nostro tessuto sociale». Per altri militanti, come ribadisce Otello Parodi, occorre avere ben presente che «bisogna tornare alle riparazioni navali, alla Genova produttiva e tornare a dimostrare di saper gestire la città, soprattutto il centro storico».
Proprio il 29 dicembre l’altra corrente (che ha in Lorenzo Basso, Renata Briano e Giovanni Lunardon gli esponenti di spicco), si è riunita informalmente in una cena per rafforzare l’impegno sul programma delle amministrative.
Leggendo le linee programmatiche sembra che ci sia margine di manovra sui contenuti da condividere, ma a questo punto pare che il problema sia proprio ancora tra le correnti interne del partito. Il rischio è che verso l’esterno non arrivi quell’immagine di unità necessaria per affrontare la competizione per Tursi e che l’elettorato, temendo una situazione simile a quella di questi ultimi cinque anni, si rivolga ad altri alle prossime elezioni amministrative.
Qui la prima puntata dello speciale amministrative dedicata al centrodestra