
C’è chi vede un rischio per l’occupazione e chi la democrazia in pericolo, e chi ritiene il consolidamento delle aziende editoriali inevitabile ed economicamente razionale come accade nel settore delle banche. Il memorandum siglato ieri tra Itedi e il gruppo L’Espresso, che punta a creare un nuovo polo editoriale con ricavi complessivi per 750 milioni di euro, ha suscitato reazioni disparate.
Preoccupati per l’occupazione a Genova e in Liguria sono il governatore Giovanni Toti e il sindaco Marco Doria. «In questa regione – ha dichiarato Toti – l’editoria ha già pagato un prezzo troppo alto per la crisi, pertanto mi auguro soprattutto che questa fusione non metta a rischio i posti di lavoro». «Nel settore della carta stampata quotidiana – ha detto Doria intervistato da Primocanale – c’è un rischio occupazione a Genova, il rischio esiste ed è serio». Quella dei posti di lavoro non è l’unica preoccupazione del primo cittadino di Genova. Doria vuole che sia garantita «l’autonomia delle diverse testate all’interno del processo di concentrazione imprenditoriale».
Per altri l’autonomia delle testate è soltanto un pio desiderio e il nuovo polo editoriale un attentato alla democrazia.
«È in pericolo la democrazia nel nostro Paese» afferma in una nota Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera. Si forma, osserva Brunetta «un superpolo dell’informazione, con quasi sei milioni di lettori stimati su carta e oltre due milioni e mezzo di utenti unici sul web, nato dalla fusione tra la Itedi, società che controlla La Stampa e il Secolo XIX, e il Gruppo L’Espresso, proprietario di Repubblica e dell’omonimo settimanale oltre ad una serie di giornali locali. Primo gruppo editoriale in Italia, uno dei primi in Europa. E se lo avesse fatto Berlusconi? Avremmo avuto quotidiani pieni di commenti disgustati, manifestazioni di piazza per difendere la libertà di stampa, sinistrosi scatenati nei talk show contro il capitalismo, opinionisti scandalizzati, popolo viola, popolo arancione, popolo arcobaleno. Sarebbe successo il finimondo».
Secondo Brunetta, «una simile concentrazione di potere è un male assoluto per un paese occidentale evoluto come l’Italia. Non ho paura di dire – aggiunge il capogruppo di FI – che con un conglomerato di interessi e finanza di questo tipo, cosa mai vista, è in pericolo la democrazia nel nostro Paese. Dovrebbero riflettere in molti, dovremmo preoccuparci tutti».
A salutare con favore l’operazione è il mercato finanziario. Oggi a Piazza Affari in avvio di seduta il titolo del gruppo L’Espresso ha avuto un rialzo dell’8,3% a 1,07 euro, seguito dalla controllante Cir (+3,13%) ma già ieri, appena diffusa la notizia, L’Espresso aveva chiuso in Borsa segnando un clamoroso +15,89%. Evidentemente l’operazione ha una ratio economica. Il modello è quello del gruppo tedesco Axel Springer e dell’americano News Corp. L’Italia avrà un gruppo in grado di trattare con colossi del web come Google e Facebook e di puntare ai budget delle grandi agenzie straniere.
E il pluralismo dell’informazione?
Del nuovo polo, che punta a controllare circa 20% della tiratura complessiva dei quotidiani italiani, una quota intorno al 43% resterà in mano a Cir, che oggi detiene oltre il 50% dell’Espresso, una partecipazione intorno al 5% sarà di Exor, la società cassaforte degli Agnelli-Elkann e un altro 5% andrà a Carlo Perrone, ex editore del Secolo XIX.
Negli anni Ottanta il gruppo L’Espresso aveva condotto una vigorosa campagna di denuncia contro la concentrazione delle testate in portafoglio alla Fiat, che allora controllava La Stampa, Il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport.
Ora la Fiat, in pratica, esce dal settore editoriale (parallelamente all’operazione con L’Espresso Fca ed Exor lasciano Rcs) in Italia. Con l’operazione Chrysler il gruppo torinese è diventato multinazionale e per la stampa italiana ha poco interesse (Exor detiene invece il 43,3% dell’Economist).
Quanto a Cir ed Espresso, evidentemente hanno cambiato parere sulla pericolosità delle concentrazioni editoriali.
Succede, cambiando punto di vista, di cambiare anche opinione.
Sarà piuttosto Agcom che dovrà controllare ed eventualmente intervenire perché sia rispettata la legge, ancora vigente, sull’editoria, in base alla quale nessun gruppo di quotidiani può avere oltre il 20% delle tirature nazionali. Il nuovo gruppo sembra avvicinarsi al 22%.
D’altra parte, la temuta omologazione politica e culturale è già in atto da anni. Vent’anni fa al fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, succedette come direttore il direttore della Stampa Ezio Mauro. Poco tempo fa il direttore della Stampa Mario Calabresi è diventato direttore di Repubblica. Il quotidiano fondato da Scalfari ha da sempre un’identità di giornale-partito della sinistra che la Stampa non ha, ma è dai primi anni Novanta almeno che i lettori dei due quotidiani, e quelli del Corriere della Sera, possono passare da una testata all’altra senza subire traumi.
In Liguria il risultato di questa concentrazione editoriale è che, nella carta stampata quotidiana, avremo cinque testate (Giornale, Secolo XIX, Nazione, Stampa, Repubblica), e delle quattro più diffuse (Secolo XIX, Nazione, Stampa, Repubblica) tre saranno in mano a un editore. Per quanto l’omologazione politica sia scontata, c’è da augurarsi che l’editore voglia mantenere ben distinte le singole identità delle tre testate. È probabile che lo faccia, per ragioni di mercato.
Tenere distinte le testate vorrebbe dire anche mettere un limite alla “razionalizzazione” delle strutture, termine che in genere vuol dire tagli dei posti di lavoro. C’è da augurarselo, per le persone coinvolte in questo processo.